Dieci tulipani. Due occhi smeraldini mi danno qualche moneta di resto dicendo “questi durano, sa”.
No, non lo so che cosa sia che “dura”, fin da che ora il giorno contenga la notte, quanto siano ampie le orbite in cui ci abbandoniamo con fiducia, dove portino, fino a quando. E che noia sarebbe, forse, sapere.
Quelli rosa chiaro della scorsa settimana sono rimasti sulla finestra dritti come soldati, ma guai a sfiorarli o in un niente ti saresti riempito le dita di polline e la gonna di petali. Non duravano più, resistevano.
Mio nonno aveva un diamantino ammaestrato, ogni giorno all’ora del caffè lo liberava in cucina, gli offriva una gabbia più spaziosa, ma non certo il cielo: erano una libertà fragile e una bontà fragile a volare nella stanza. Doveva essere quella la “routine”, quella parola francese, il non osare oltre il rituale di pareti certe.
Invece, per fortuna, a noi no, a noi aveva trasmesso una gran voglia di mare, che era come darci le chiavi della gabbia, perchè tuffarsi è un volo, ce lo insegnò lui, per nulla marinaio, ma capace di contemplarlo per ore il mare, come in un lungo sogno di capitano.
Durare è partire senza pensare che il volo atterri necessariamente verticale.
E’ abbassare lo schienale e fidarsi delle nuvole, sapendo di amarle.
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In primo piano, il bianco sembra una nuvola.
Un saluto
Ciao Adi! Infatti è soprattutto nelle immagini che tu trovi la sintesi, il senso. Un bacione.
Come mi sei romantica, bella.
C’è una differenza sfumata tra lo sforzo che comporta l’atto del resistere e la leggerezza senza tempo implicita nel durare. Sfumata eppure sostanziale, come quella che esiste tra sopravvivere e vivere, tra una gabbia spaziosa e il cielo. Occorre fidarsi. E affidarsi.
Ma il durare con fatica no, il durare con impegno in un’accezione (pro)positiva sì. Grazie per essere stato qui, mancavi.
Mancavano anche i tuoi brani, Ba… ed è sempre bello ritrovarli. Accarezzano il cuore come aria fresca e limpida di primavera.