Touche pas mon pays!

Il Marocco fa ridere solo quando sali sul dromedario e lui si tira su ancheggiando prima che tu ti sia perfettamente sistemato sulla sua groppa, che ha una gobba sola, mi raccomando, perchè quelli a due gobbe si chiamano cammelli e vivono in Asia. Quell’unica gobba è comunque solitamente avvolta nel mistero insollevabile di mille coperte ispide e non proprio fresche di bucato, per quello che poi uno continua a fare confusione, bisogna crederci e basta.

Per il resto, il Marocco non fa ridere, fa pensare, diventa anche un viaggio dentro se stessi e il proprio sentire rispetto a infinite questioni che partono da ciò che vedi, ma poi ti interrogano nel profondo: l’impatto più forte per me non ha riguardato le arcinote questioni “culturali”, la parità fra uomini e donne o le pratiche religiose, ma soprattutto il senso continuo di “bisogno” di chi mi stava intorno. Senso del poco, dell’essere indietro, del dover crescere e anche del voler crescere, potendolo fare.
E sì che sei convinto che il progresso non possa che fondarsi su capacità e strumenti propri (fornire la canna da pesca, non il pesce), solo che mentre lo pensi hai addosso dieci mani tese sia adulte che bambine che ti chiedono una risposta in quell’istante e ogni volta è una penosa mediazione tra i giusti principi, i tuoi privilegi, il tuo fortunato passaporto con la copertina bordeaux, la tua coscienza, la tua ribellione, e quegli occhi neri in costume da bagno che potrebbero essere quelli di tuo nipote.

Molta fatica dei no, il mio Marocco. Fatica del mercanteggiare tutto e sempre, mi sono arresa quasi sempre alla prima negoziazione. Arginare un’invadenza, un’insistenza a cui non si è abituati, per fortuna dopo poco impari che per loro è molto meno difficile che per te, che in fondo quel modo è un’abitudine, un ritornello, forse una poesia recitata a memoria mille volte al giorno, probabilmente anche una specie di gioco che già mette in conto la frustrazione del rifiuto. E alla fine, a non comprare niente, dispiaceva sempre più a me che a loro che, dopo un po’, avevano già cambiato avversario e dicevano “amici come prima” (ma secondo me non era mica vero).
A Marrakech nella piazza “Djemaa El Fna” in quattro o cinque avevano messo un serpente ammaestrato al collo di Andrea e una scimmia sulla spalla di Anna, volevano 20 dirham ciascuno per la foto e io glieli ho dati, senza contrattare. Era pure in controluce.

Il Marocco è una sequenza di panorami che emozionano, come quando ti senti ingoiato nella Valle del Dades dalle gole dell’Alto Atlante, circondato da rocce che chiamano “dita di scimmia”, o diventi minuscolo ai piedi delle Gole del Todra, o sgomento dinanzi alla meraviglia delle kasbah di Taourirt o di Ait Ben Haddouh, questi enormi castelli di sabbia per bambini ormai cresciuti.
A volte ti senti a casa, magari in compagnia di una famiglia berbera che ti prepara un tè alla menta e del pane caldo, i migliori che hai assaggiato in tutto il viaggio. Altre volte invece ti senti profondamente inadeguato, o forse per una volta sei tu diverso dalla maggioranza. Ero vestita, e tuttavia troppo scoperta davanti allo sguardo curiosissimo delle bambine già completamente velate nella medina di Taroudant, un’altra volta invece ero troppo chiassosa e per questo ammonita da un dito sui baffi nel souk di Marrakech, dove uno scoppio di risa di donna è più frastornante di tre motorette che pretendono di passare tutte insieme in un vicolo ben più stretto dei budelli liguri.

Una sola parola per quel mercato a Marrakech: onirico.
…lanterne, lanterne, specchi, foulards, uomo sdraiato per terra con paio di forbici in mano, in pausa dal tagliare le pelli per farne “babouches”, ruota gli occhi, mi saluta con un gesto lento e molle della mano dal pavimento del garage, …francese? – mi chiede – francese?…angurie, mosche, mosche sulle angurie, bambino che rompe una brocca di vetro, schiaffo sulla guancia, pezzo in meno da vendere, urla arabe, mi volto, “sciaff”, pezzo di carne appesa che finisce sulla mia faccia, sulla mia faccia prima spagnola e un metro dopo italiana, italiana?, ciao bella, ma soprattutto bellaciao (ci hanno chiesto di cantarla persino i tuareg nel deserto), marmitte bollenti sempre a un centimetro dalle gambe, tappeti, bicchieri, scatole, occhi di bimba che scivolano dietro una gonna, incenso, menta, coriandolo, miele, cellophane, datteri, sardine fritte, certo che rido, perchè mi piace proprio tutto in questo sogno, ma lui con i baffi mi dice “ssst”…e mi risveglio.

Marocco in 4 x 4 significa tanto Marocco dal finestrino: sequenze di case di sabbia e terra e paglia, sempre più rade inoltrandosi verso sud.
Il giorno è fatto per macinare chilometri sul Land Rover, saranno più di millecinquecento in totale.
Dopo Marrakech sfilano le rocce rosse e alberate della Valle dell’Ourika, ci ferma la luce dorata della moschea a cielo aperto di Tin-Mal e lì il cuore rallenta per la bellezza e per i 50 gradi di temperatura. Paura e tornanti per valicare il colle di Tizi n’Test a 2092 metri di altitudine, ma come premio della traversata, ecco finalmente le caprette in equilibrio sui rami degli alberi di Argan, lungo la strada per Taroudant. Oltre Taroudant, i paesaggi lunari delle cave di cobalto, la valle del Draa con i suoi palmeti, i bambini che giocano nel fiume e vogliono una foto in cambio della mia Coca Cola già iniziata, e vicino a loro, appoggiata al canneto, una moto fantastica con finiture di pelliccia color ruggine.
Dopo, soltanto deserto roccioso fino a Zagora, dove uno storico cartello ci segnala che, volendo, a piedi (o con un dromedario), siamo a 52 giorni di cammino da Timbuctou, antica città del Mali, nonchè una delle sette meraviglie del mondo.
Da Zagora il viaggio prosegue lungo le piste pietrose desertiche, raramente interrotte da abitazioni berbere isolate, qui, un fazzoletto di campo coltivato a contorno della casa è promessa di futuro e prova del miracolo dell’irrigazione goccia a goccia. In lontananza il pozzo dell’acqua significa fatica per questa fila di braccia adulte che ci salutano, ma anche speranza per i tuoi occhietti che mi guardano, ma poi tu che fai, anche se non ho il camice, scoppi a piangere e nascondi il viso nel collo di tua madre, come tutti i piccoli del mondo e io mi sento per un attimo di nuovo al lavoro.
Proseguendo su queste piste con il fuoristrada il panorama perde di realtà, assume un che di cinematografico. Dall’autoradio della macchina i refrain compulsivi delle canzoni arabe fanno da colonna sonora e gli occhi verdi berberi di Hossein nello specchietto retrovisore da scenografia.
Siamo a circa 40 chilometri dal confine con l’Algeria, il profilo del paesaggio che mi scorre accanto è sempre meno pulsante, si asciuga sempre più e si svuota, si appiattisce in un’asistolia geografica, il nostro sbarco ricorda un allunaggio, forse siamo arrivati ad una zona di confine tra l’Africa e la nostra fantasia: Merzouga è solo un disegno in due dimensioni, il nulla ai piedi del deserto, che in arabo, appunto, si dice “sahara”.
E qui è il silenzio.
Stanno zitte le onde calde e arancioni sotto di noi che guardiamo il tramonto, sta zitto Said sulla via del ritorno mentre mi fa salire sul dromedario e si versa nella djellabah una manciata di sabbia che voglio portare a casa, zitta io, cavalcando lentamente quest’imbrunire inusuale, io che spalanco gli occhi più che posso per contenere l’infinita “spiaggia” intorno a me, totale residuo del calcolo rapace del Tempo, così predatore di acqua e di vita in questo pezzo di mondo. Stanno zitte anche le stelle sopra il nostro campo tendato, le più nitide di sempre. Penso che ciascuno di noi potrebbe dire a qualcuno “sarebbe bello se fossi qui”.
Le tende sono un forno e non si può rimanere dentro col cielo che c’è là fuori. Usciamo con i sacchi-letto ancora addosso, come fantasmi. A tratti interrompono la notte le nostre chiacchiere insonni, sono voci sorridenti di quattro nuove amiche sudate e scalze, gatte tra i gatti di questo cortile berbero ai piedi delle dune, per una sera sola regine del deserto.

Foto (B. De Vito): Taroudant, sul muro – luglio 2013
Altre fotografie del Marocco qui: http://www.flickr.com/photos/badev/sets/72157634757032505/

Informazioni su Badev

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43 risposte a Touche pas mon pays!

  1. tantopercantare ha detto:

    Solo passare per un mercato è una fatica. Una fatica resistere al tè alla menta perché non mi fa dormire. Però che bello il Marocco, il tuo viaggio, il tuo racconto.

    • Badev ha detto:

      C’era un mercato molto suggestivo, eravamo appena partiti da Marrakech per andare al sud. Non sono riuscita a vedere nulla, nè a scattare una foto. Ne sono uscita faticosamente e in più con delle geodi di simil-ametista di cui certamente non avrei potuto fare a meno.

  2. Ale M. ha detto:

    Mi hai fatto rivivere il Marocco..giorno dopo giorno…ma con la pelle d’oca.
    Complimenti…..e grazie infinite.

  3. prisci ha detto:

    L’ho letto mentre facevo colazione con yogurt greco e miele. Il tuo racconto mi ha fatto rivivere il viaggio marocchino, lo yogurt il viaggio greco. Adesso ho una voglia di partire senza fine!

  4. Piper ha detto:

    Grazie a te ci son tornato per la terza volta, Ciao Ba!

  5. ilgattosyl ha detto:

    Che bello questo diario….il Marocco non ho avuto ancora modo di visitarlo e purtroppo per me rimane solo il caffè macchiato col cacao, ma avevo vissuto sensazioni simili quando andai in Tunisia

  6. Alessandra Galbiati ha detto:

    Un racconto magico….come magico è stato l’incontro tra persone che era destino entrassero a far parte delle nostre vite per condividere momenti ed emozioni speciali….un abbraccio a tutti i compagni di questo viaggio…..

  7. oh bentornata. in modo poco originale, mi accodo alla lista di coloro che leggendoti hanno avvertito un’irrefrenabile nostalgia di suk, spezie e the alla menta sorseggaiti nella djema el fna. del marocco porto tante sensazioni, quasi nessuna moderata, fin dal primo istante: ci andammo dall’italia in autostop, attraversando la frontiera a piedi in uno scenario surreale e da brivido, in mezzo ad una fiumana umana all’interno di un percorso recintato (una gabbia, in pratica), una fiumana che si apriva ad estuario scomparendo oltre le prime colline.
    che belle sensazioni. appena posso, con calma, andrò avidamente a curiosare le foto.

    • Badev ha detto:

      Wow, meglio di Marrakech Express. Anche voi avete ammazzato una scimmia? Mi ha fatto ridere “sensazioni, nessuna moderata”!

  8. edp ha detto:

    quanto belle queste parole, quanto vere, quanto vive. mi hai fatto tornar voglia di africa quasi quasi…

  9. Gisella ha detto:

    anch’io ho rivissuto il mio viaggio in Marocco.
    Leggendoti ho riprovato le stesse emozioni, le tappe erano identiche, gli occhi si sono riempiti delle stesse forme e colori, il naso degli stessi odori, la bocca degli stessi gusti, la testa degli stessi pensieri.
    Li hai descritti molto bene.
    Solo che poi sono stata in Saharawi, e un pò ho cambiato il modo di percepire quel popolo e quel Paese.
    Ma a parte questa, che è una questione molto personale, io 20 dinari per la foto con il serpente ammaestrato non li avrei mai pagati.
    🙂

    • Badev ha detto:

      Ecco, a proposito di “touche pas mon pays”… un’altra storia infinita quella. Mi devi raccontare quello che hai visto. Ho visto le foto delle tendopoli, impressionanti.

  10. Paolino ha detto:

    Ripeto commenti già inviati, ma anche a me hai ricordato quello stesso viaggio e gli stessi posti fantastici.
    Qualche anno fa sono tornato diverse volte in Marocco per lavoro, a Rabat, e ho avuto modo di viverlo sotto un punto di vista diverso da quello del turista, anche se Rabat è la capitale ed è diversa dal resto del Marocco. Era davvero particolare andare in ufficio e lavorare fianco a fianco con persone che hanno una cultura e uno stile di vita così diverso dal tuo……
    Comunque…..grazie per averci fatto rivivere il Marocco!

  11. An Church ha detto:

    Magica “vivaista” 😉

  12. the pellons' ha detto:

    Bello questo Marocco. Il miofu nel 96, ricordo ancora la porta d’Africa e le sue emozioni per me. Sognavo di attraversarla tutta, quell’Africa di cui il Marocco è solo unassaggio delicato.

    • Badev ha detto:

      Anch’io penso che sia stata solo la porta d’ingresso. Probabilmente il mio (nostro) lavoro mi porterà oltre, spero presto.

  13. Pim ha detto:

    Bellissimo taccuino di viaggio. Ho visitato quasi tutto il Vicino Oriente (Siria compresa), il Maghreb invece mi manca. Terrò presenti le tue annotazioni.
    P.S.: Gli inglesi, più pratici di noi, prescindono dal numero di gobbe e chiamano cammelli anche i dromedari.
    Un abbraccio.
    P.

  14. Prishilla ha detto:

    Bel viaggio, Ba!
    p.s. amici come prima, per me, è vero. prima, che amici infatti, non li si era… 😉

  15. Davide Greco ha detto:

    mi sento la sabbia persino nelle mutande dopo aver letto il tuo racconto, wow!

  16. massimolegnani ha detto:

    mi piacciono i viaggi raccontati così, soprattutto quando mi portano in luoghi dove non sono stato e che formo piano piano sulle parole che leggo. Impareggiabile la parte in presa diretta o “onirica” come la definisci tu (da lanterne, lanterne a ssst) dove ogni parola è un’immagine viva.
    ml

    • Badev ha detto:

      Tu non ti puoi immaginare quel delirio, ci devi essere. Mi piace la definizione di “presa diretta”, in effetti in quel frangente mi sentivo un po’ in stile “Lisbon Story”… ma a Marrakech. Ciao ML, a presto!

  17. Giancaleikum ha detto:

    Beh, che dire, grazie per questo ulteriore viaggio in Marocco, fatto tutto d’un fiato leggendo queste righe!
    Il viaggio in 4×4 nel sud del Marocco è stato il viaggio che mi ha fatto innamorare (definitivamente)di questo Paese, dopo un viaggio (dis)organizzato ‘Fai da me’ qualche anno prima. L’ultimo passaggio in ordine di tempo, qualche anno fa, per visitare un paio di città imperiali, è stato il viaggio della consapevolezza.
    Consapevolezza anche del fatto che amo più le terre selvagge e inospitali piuttosto che le città agghindate e straorganizzate per noi turisti, seppur queste città siano molto affascinanti.

    Insomma, non volevo scrivere un pentolino pure io, però a sentire parlare del Marocco mi prende la nostaglia e una gran voglia di partire per quei posti che voglio vedere, come ad esempio la Chefchaouen dal nome impronunciabile e le sue case azzurre, o la storica e colta Tangeri, per dirne giusto un paio.

    Shukran

    • Badev ha detto:

      Dici bene, perchè anche secondo me è un posto da visitare più volte, in parti diverse. Anche una settimana di mare a Essaouira io l’avrei gradita per esempio.
      Shukran a te, Gianca. Baci! (e poi….dobbiamo parlare, o no?! :)))

  18. Giancaleikum ha detto:

    …e parliamone! 🙂

  19. penna bianca ha detto:

    Questo post è bellissimo e le foto…Le foto sono splendide!. Da quello che percepisco un posto che ti ha lasciato molto. E per quelle stelle immagino. contentissima per te! un abbraccio

  20. Learco ha detto:

    Questo posto con tutti i tuoi racconti e le tue foto è una meraviglia. Tutto quanto. E se ho scelto di dirlo sotto questo post qui è per poterti chiedere, pure, C’è una foto che si chiama Siam poi gente delicata, che è anche il titolo di un libro. Mi chiedevo, ecco, è un caso, o?
    E comunque io mi sa che qui ci tornerò un sacco di volte, che c’è un’aria magica e a tenere gli occhi aperti c’è pieno di cose belle da vedere.

    • Badev ha detto:

      A giudicare dal nome, se anche questo non è un caso, mi pare di capire che anche tu sia “amico” di Paolo Nori. Ricordo di avere intitolato una foto col titolo di quel libro, ma non ricordo più quale, aiutami. Grazie per tutte queste tue parole belle in fila, che mi trasmettono energia e calore. A presto, non so, perché scrivo poco poco….

  21. Learco ha detto:

    Eh, “amico”, io direi di sì. Anche se è quell’amicizia un po’ unilaterale, come essere fidanzati alle elementari, tu lo sai e lei no. In realtà ci ho parlato un paio di volte, un paio di secondi, qualche anno fa, ma quanto mi sarebbe piaciuto poterci prendere un caffè, una birra, o insomma starci seduto a un tavolo a chiacchierare. Il nome però, sorprendentemente, non l’ho preso da lì, che anzi avrei forse dovuto evitarla, questa ambiguità. Io il nome, che completo sarebbe Learco Pelagatti, l’ho fregato per metà a Learco Pignagnoli, per metà a un racconto di Cavazzoni. Questa cosa l’ho pure scritta da qualche parte, sul blog, e mi rendo conto solo ora che il cognome non compare quasi mai, solo nell’indirizzo email, ora mi sa che vado a modificarla questa cosa.
    Ecco, il tuo scrivere poco poco per ora mi dà il tempo di recuperare quelle che hai già scritto, di cose.
    (La foto è questa qui https://www.flickr.com/photos/badev/9456395103/ che è poi bellissima.
    E scusa, m’è venuto un commento gigante. Io comunque avrei scommesso che fosse una coincidenza, il titolo della foto, e invece.
    Sorrido.)

    • Badev ha detto:

      Sorrido anch’io ora che mi fai riguardare quella foto e ripensare a quella mitica notte nel campo tendato di Merzouga!! Beh la citazione ci stava benissimo con l’assetto “schizzinoso” con cui ci apprestavano a dormire. Due ore dopo eravamo tutti sotto le stelle, sprezzanti di scorpioni e gatti randagi. Grazie. Ciao 🙂

  22. learcopelagatti ha detto:

    Direi di sì, ci stava benissimo. E grazie a te che dividi con noi questi piccoli tesori.
    A presto 🙂

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